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    delusa del parto.
    Annibale Doberdò le si avvicinò, le posò una mano sul-
    la spalla e allora, in quel momento, la Califfa capì che  al
    di là di quel ponte non solo una legge fatale, non solo la di-
    sperazione, l avevano spinta, ma soprattutto un incon-
    scio, vitale bisogno di felicità: una felicità, una qualunque,
    prima di morire. E capì anche che, per tutti i giorni che sa-
    rebbe durata la sua avventura, avrebbe avuto un motivo
    in più per non provare vergogna: perché Annibale Do-
    berdò era un uomo che si poteva stimare e al quale era le-
    cito voler bene anche in un modo pulito.
    Letteratura italiana Einaudi 116
    Alberto Bevilacqua - La califfa
    Tutto come aveva predetto la Viola, quando aveva sa-
    lutato la Califfa, prima che se ne andasse via per sempre:
    «La contentezza, bella mia, è una gran bestia... L aspetti,
    l aspetti e quella niente. Più fai la santa, più quella ti
    scappa. Poi, quando credi d essere tu a non volerla più,
    che ti senti stupida a crederci ancora, ecco lì che ti salta
    addosso, che ti prende qui, allo stomaco, e ti fa male, e ti
    stringe...».
    3.
    E pensare che quel pomeriggio, quando m ero butta-
    ta quei quattro stracci nella valigia e via, non l avevo tro-
    vato il coraggio di entrare in casa mia. Davvero. Lui
    m aveva scritto su un biglietto: via tale numero tale. E
    poi m aveva detto quelle che mi sembravano ancora pa-
    role di comodo, chiacchiere e niente altro: «Adesso ba-
    sta dormire in mezzo ai topi. Con questa faccia che hai,
    cosa vuoi fare, la barbona?». Insomma, io avevo diritto
    di finire in pelliccia, a sentir lui, in guanti e cappello, e
    passar per le strade come un cane da mostra.
    Ripeto che mi parevano lusinghe balorde, primo per-
    ché per convincere la Califfa ce ne vuole, secondo per-
    ché mi toccava di ascoltarlo seduta sul sedile di quel
    macchinone, che già pareva un materasso, e mi umiliava.
    E forse, allora, finzioni le erano davvero, perché il Do-
    berdò fu dopo che lo vidi cambiare, nei miei confronti.
    Chissà, forse perché ci stava bene con me e io, a dir la
    verità, ci riuscivo a farlo sentir giovane, perché capivo
    che era questo che lui andava cercando.
    E mi costò sempre meno; dal momento che soggezione
    di lui io ce l ho avuta solo quella prima sera, in automobi-
    le, e un po di senso, se così si può dire, solo la prima vol-
    ta che mi fece spogliare. I primi tempi, comunque, capivo
    che aveva ancora scrupolo a parlare con me e a confidarsi
    Letteratura italiana Einaudi 117
    Alberto Bevilacqua - La califfa
    come se io potessi capirlo. Ed era giusto. Che cosa poteva
    sapere che io, per come ero fatta e per come avevo vissu-
    to, potevo dargli molto di più di quello che una slandra di
    solito può dare? Insomma, anch io stavo sulle mie.
    Ma poi, quando cominci a capire che un uomo, anche
    da soddisfatto, tanto che potrebbe prendere cappello e
    andarsene, sbatterti la porta in faccia a dirti arrivederci,
    sta lì a cercarti ancora, e ha bisogno di parlarti e di sentir-
    ti parlare, allora, se una donna appena non è stupida, ti si
    allarga il cuore. Proprio il contrario di quello che m era
    capitato con il Vito. Perché dopo vennero i regali  ma a
    me dei regali non me n è mai importato niente, e non fu
    certo coi regali che riuscì ad avermi come sono quando in
    una persona io ci credo, e cioè bella, allegra, capace di far
    passare un malditesta meglio che un cachè  , dico che do-
    po vennero i regali, ma prima ci fu solo quella voglia sua
    di avermi vicino, a consolarmi.
    «Califfa...» mi diceva, e voleva che mi mettessi a sede-
    re, così da farmi prendere per la vita, come una figlia,
    «te mi piaci perché sei come sei...» E come dovevo esse-
    re? Forse perché aveva un palazzo meglio di quello del
    Comune, o quando si muoveva si muoveva come un pa-
    dreterno? A me, queste cose non dicevano niente, e glie-
    lo confessavo chiaro, anche. Perché com ero riuscita, in
    tanti anni, a grattare sotto la miseria per vedere come un
    uomo è fatto e badare solo a questo, anche se poi man-
    giava pane e acqua come un condannato, così mi riusci-
    va di fare con quell abbondanza.
    Con questo non voglio farmi bella e dire che se, cono-
    scendolo, mi fossi resa conto che era più o meno come
    gli altri, l avrei piantato in asso, mi sarei ripresa la roba
    mia e, chiusa la porta, tanti saluti. No. Giuro che se an-
    che fosse stata la più bell acqua di carogna non mi sarei
    tirata indietro di un passo. Perché avevo dato la mia pa-
    rola. Perché non m importava più in che marciume sarei [ Pobierz caÅ‚ość w formacie PDF ]

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